La presenza dell’orso dovrebbe essere sostenibile
Condivido questa mia riflessione sulla gestione degli orsi in Trentino, pubblicata
sul quotidiano il T Quotidiano. Una posizione non di ‘pancia, nè solo su basi scientifiche (doverose) , quanto piuttosto politica, di responsabilità, nel solco di una conoscenza profonda della vita in montagna.
“La questione orsi in Trentino non è di facile soluzione. Negli anni si è perso il controllo del numero e non si è messo a punto un monitoraggio efficace per controllarne spostamenti e comportamenti. Ma il punto chiave sta anche alle origini del progetto di reinserimento dei grandi carnivori nelle Alpi. Ovvero, la mancanza di previsione di un limite da dare alle specie protetta, per garantire una convivenza con l’uomo, e cosa fare una volta che quel limite fosse stato superato. La situazione di oggi non era stata prevista. Sappiamo che ogni anno nascono circa 12 cuccioli, in dieci anni noi passeremo quindi da cento a duecento orsi che vagano all’interno di un’area di 1500 kilometri quadrati, fortemente antropizzata, nella parte occidentale della provincia, pari a circa un quarto del territorio. Che fare? In modo realistico questa domanda va affrontata. Quello su cui dobbiamo lavorare è di un progetto di gestione presente-futura dell’intero progetto, con grande responsabilità da parte di tutti e decisioni anche difficili ma a quella domanda non si sfugge. Già oggi i cento orsi sono troppi per l’area geografica in cui risiedono, con sempre meno cibo nelle alture gli animali sono costretti a scendere a valle. Siamo anche in una fase critica, in cui stiamo rafforzando le politiche per la montagna, perché nuove famiglie e nuove generazioni decidano di restare o venire a viverci. Evitare l’abbandono delle terre alte, delle valli, è fondamentale per la nostra politica territoriale, considerando che il 75% del Trentino si colloca sopra i 1000 metri. Ne va della sostenibilità economica di tutta la provincia. Ecco perché la gestione dei grandi carnivori va posta all’interno di una politica di sostenibilità generale della vita in montagna e necessita di un approccio realistico da parte di tutti. Lo riconosce anche l’Unione Europea, che demanda agli stati e ai territori la scelta anche di introdurre una caccia selettiva, se necessario. Nella stessa Direttiva europea in cui l’orso è dichiarato specie protetta, all’art 16 paragrafo 1, lettera “e” si ammettono alcune deroghe quali., ad esempio, “la caccia finalizzata alla gestione”.
Abbiamo fatto troppo affidamento alla narrazione che gli orsi non attaccano l’uomo. Questo sarà stato anche vero fintanto che il numero degli orsi rimaneva sotto una certa soglia. E ci siamo dimenticati perché si sono estinti gli orsi nelle Alpi. Quando la montagna iniziò a veder crescere la popolazione residente, su decisione anche dello stato che vide la necessità di creare un presidio ‘in alto’ per salvare le pianure ‘in basso’ da rischi di frane e alluvioni, il plantigrado nelle Alpi si estinse. Vi furono tre tentativi di reintrodurre il plantigrado da noi, prima del Progetto Life Ursus, tutte e tre falliti per lo stesso motivo: un’eccessiva confidenza con l’uomo, con rischi per la popolazione locale. Questa situazione pregressa forse poteva essere presa maggiormente in considerazione quando si decise la reintroduzione della specie, certamente oggi ci fa riflettere quando parliamo di ‘orsi confidenti’. La realtà forse è che la ‘confidenza’ non è una patologia degli orsi ma l’effetto naturale di muoversi in un’area dove è praticamente impossibile non entrare in contatto con l’essere umano, direttamente o indirettamente. Le Alpi non sono i parchi in Canada. E il Parco Adamello non è il Parco dell’Abruzzo, dove pare gli orsi siano felicemente a casa loro, lì la zona non abitabile è a maggioranza, con solo due nuclei abitati molto compatti e su altura. Nulla di paragonabile alle Giudicarie. Parlare di convivenza senza fare una mappa dei rischi, anche per la popolazione, sulla base della statistica e dei numeri reali degli esemplari e della conformazione del territorio, è non rispettare la popolazione che vive in montagna. E quando l’ISPRA dice che il turista francese aggredito un mese fa è un esempio virtuoso di come comportarsi, lascia allibiti. Perché quell’aggressione è stata potenzialmente fatale, un miracolo che il morso dell’orsa non abbia toccato l’aorta. Oggi il Trentino sembra solo ad affrontare un problema che in realtà tocca e coinvolge molti altri territori, vicini a noi, che però preferiscono, riuscendoci, a tenere un low profile su tutta la gestione carnivori, comunicando solo tra di loro internamente, così da non attirarsi attenzioni mediatiche, polemiche e disdette turistiche. Oggi è il momento in cui lo spirito della nostra Autonomia ci richiede unità e fermezza” (Emanuela Rossini, pubblicato il 3 agosto)